LICENZIAMENTO
Il Codice Civile prevede all’art. 2118 la possibilità di recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, sia per il lavoratore che per il datore di lavoro, dando un congruo preavviso, in mancanza del quale il recedente è tenuto a versare un’indennità equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso.
Le normative di riferimento che garantiscono una tutela ai lavoratori sono la legge 604/1966 e l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, a cui si sono aggiunte la legge 92/2012 e il D.lgs. 23/2015, quest’ultimo in particolare ha segnato uno spartiacque nella disciplina applicabile ai lavoratori assunti antecedentemente la data del 7 marzo 2015 e quelli assunti in seguito.
Posto che rientra nelle facoltà del datore di lavoro quella di licenziare un dipendente, è necessario che vengano rispettati alcuni requisiti, essendo comunque diritto del lavoratore quello di impugnare l’eventuale licenziamento.
REQUISITI PER IL LICENZIAMENTO
In primo luogo per la validità del licenziamento ricorre il requisito della forma scritta, oltre all’obbligo di motivazione.
La motivazione può consistere nella sussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo (oggettivo in caso di ragioni economiche, soggettivo in caso di licenziamento disciplinare).
Dunque, eccezion fatta per le ipotesi di licenziamento intimato nei confronti del collaboratore domestico e del lavoratore durante il periodo di prova, è necessario che il datore di lavoro comunichi l’intenzione di recedere dal contratto di lavoro in forma scritta e indicandone i motivi.
IMPUGNAZIONE DEL LICENZIAMENTO
Il licenziamento può essere impugnato direttamente dal lavoratore, ovvero avvocato (o anche tramite associazione sindacale). È necessario tuttavia che venga rispettato il termine perentorio di 60 giorni dalla comunicazione (legge. 183/2010).
Tale termine può essere interrotto da un qualsiasi atto scritto, giudiziale o stragiudiziale, che renda nota al datore di lavoro la volontà di impugnare il provvedimento di licenziamento.
Entro 180 giorni dalla data di impugnazione del licenziamento può essere presentato ricorso, necessariamente da depositarsi tramite un avvocato, presso il tribunale del lavoro competente al fine di accertare l’invalidità del licenziamento e di condannare il datore di lavoro al risarcimento del danno.
TENTATIVO DI CONCILIAZIONE E ARBITRATO
Qualora non avesse presentato ricorso presso il Tribunale, il lavoratore può richiedere un tentativo di conciliazione o arbitrato al datore di lavoro per risolvere la controversia.
Nel caso in cui il licenziamento sia avvenuto per giustificato motivo oggettivo da parte di datore di lavoro con più di 15 dipendenti nell’unità produttiva, oppure più di 60 a livello nazionale, il tentativo di conciliazione è obbligatorio.
La procedura di conciliazione interrompe il termine di prescrizione per la presentazione del ricorso.
Qualora la conciliazione si dovesse concludere con esito positivo, e dunque mediante una risoluzione consensuale del rapporto, il lavoratore ha diritto di accedere alla Nuova Assicurazione sociale per l’impiego.
In caso contrario, il datore di lavoro può comunicare al lavoratore il licenziamento che ha efficacia dalla prima comunicazione e il lavoratore ha a disposizione 60 giorni per depositare il ricorso in Tribunale.
OFFERTA DI CONCILIAZIONE – D.LGS 23/2015
Il decreto legislativo 23/2015 ha previsto la procedura facoltativa della conciliazione per i lavoratori assunti a tempo indeterminato successivamente alla data del 7 marzo 2015. Il datore di lavoro, entro il termine di impugnazione stragiudiziale, può offrire al lavoratore un importo di ammontare pari a una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 2 e non superiore a 18 mensilità.
L’accettazione da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto e la rinuncia all’impugnazione del licenziamento.
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