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I codici civili del Novecento, nella loro struttura originaria, concepivano la sola famiglia matrimoniale. In tale ottica, la stessa disciplina della filiazione era costruita sul modello matrimoniale, tanto che si distingueva nettamente tra i figli legittimi e i figli illegittimi o naturali.
Ferme tali premesse, le principali innovazioni che si sono registrate in Europa occidentale sono passate dapprima attraverso il riconoscimento della c.d. famiglia di fatto, oggetto anche di una posteriore regolamentazione specifica e, successivamente, con il progressivo, e non ancora definitivamente compiuto, riconoscimento della famiglia tra persone dello stesso sesso.
Sotto diverso profilo si è financo registrata una certa evoluzione della disciplina della filiazione, la quale ha teso sostanzialmente a slegarsi dal matrimonio, per tendere, nell’ottica del c.d. best interest of the child, a creare uno statuto unitario di figlio, indipendentemente dal fatto che quest’ultimo fosse nato all’interno di una relazione in cui le parti si sono unite in matrimonio o meno.

RIFORMA DEL 2012 IN MATERIA DI FILIAZIONE E PARENTELA

Quanto all’ordinamento italiano, è intervenuta in materia la Legge 219/2012, riforma che – nello specifico – ha equiparato i figli naturali ai figli legittimi.
Detta riforma è intervenuta, infatti, sulla disciplina della parentela, novellando l’art. 74 c.c., che oggi dispone che il vincolo sussiste tra le persone che discendono da un medesimo stipite, indipendentemente dal carattere legittimo o naturale della filiazione. Con analoghe finalità, il comma 4 dell’art. 1 della Legge n. 219/2012 ha novellato l’art. 258 del codice civile, che afferma che il riconoscimento non si limita a produrre effetti per il genitore che l’ha effettuato, ma estende la propria efficacia anche sui parenti del genitore stesso. Allo stesso modo è stato novellato l’art. 315 c.c., che oggi dispone che tutti i figli, dunque anche quelli naturali, godono del medesimo stato giuridico.
Da ultimo, merita menzione la circostanza che la predetta riforma ha abrogato le disposizioni sulla legittimazione dei figli naturali, prevedendo la sostituzione delle parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrano nel codice civile, con la sola parola “figli”.
Quanto sopra anche ai fini successori: difatti, i giudici hanno ribadito che “in tema di successione mortis causa, la disciplina recata dalla l. n. 219 del 2012 , che assicura la piena parità dei diritti, nelle successioni ab intestato, tra figli legittimi e figli nati fuori del matrimonio, deve essere applicata retroattivamente anche con riferimento alle successioni apertesi prima della sua entrata in vigore, al fine di evitare ogni discriminazione fondata sullo status filiationis” (cfr. Cassazione civile , sez. II , 31/03/2023 , n. 9066).

 

RICONOSCIMENTO DEL FIGLIO NATO FUORI DAL MATRIMONIO

L’art. 262 c.c., al I comma, prevede espressamente che il figlio assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto; se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio assume il cognome del padre.
In tema, si segnala che la Corte costituzionale, con sentenza 31 maggio 2022, n. 131, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale comma, nella parte in cui prevede, con riguardo all’ipotesi del riconoscimento effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori, che il figlio assume il cognome del padre, anziché prevedere che il figlio assume i cognomi dei genitori, nell’ordine dai medesimi concordato, fatto salvo l’accordo, al momento del riconoscimento, per attribuire il cognome di uno di loro soltanto; valendo tale principio, di conseguenza e in maniera implicita, anche per i figli nati all’interno del matrimonio.
Dunque, ad oggi, a seguito di tale arresto giurisprudenziale e dell’epocale pronuncia della Corte Costituzionale, i figli – siano essi naturali o legittimi – assumono il cognome di entrambi i genitori che lo abbiano riconosciuto contemporaneamente, nell’ordine da questi ultimi concordato, salvo diverso accordo delle parti medesime.

 

DIRITTO AL MANTENIMENTO E LA SUA FUNZIONE

Come sovente ricordato dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, in tema di contributo al mantenimento dei figli, che si caratterizza per la sua bidimensionalità, da una parte vi è il rapporto tra i genitori ed i figli, informato al principio di uguaglianza, in base al quale tutti i figli – indipendentemente dalla condizione di coniugio dei genitori – hanno uguale diritto di essere mantenuti, istruiti, educati e assistiti moralmente, nel rispetto delle loro capacità, delle loro inclinazioni naturali e delle loro aspirazioni; dall’altro, vi é il rapporto interno tra i genitori, governato dal principio di proporzionalità, in base al quale i genitori devono adempiere ai loro obblighi nei confronti dei figli, in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la propria capacità di lavoro, professionale o casalingo, valutando altresì i tempi di permanenza del figlio presso l’uno o l’altro genitore e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascuno (cfr. Cassazione civile , sez. I , 26/01/2024 , n. 2536).
Si badi che, qualora i genitori non dispongano di mezzi sufficienti al mantenimento dei figli gli altri ascendenti, legittimi o naturali, in ordine di prossimità, sono chiamati a fornire loro i mezzi necessari all’adempimento dei propri doveri nei confronti dei figli.
Dunque, l’obbligazione degli ascendenti rimane subordinata e sussidiaria alla circostanza che neanche uno dei genitori sia in grado di provvedere al mantenimento.

 

RIPARTIZIONE DELLE COMPETENZE TRA TRIBUNALE ORDINARIO E TRIBUNALE PER I MINORENNI IN CASO DI RICHIESTA DI MANTENIMENTO

Ciò premesso, diventano di competenza del Tribunale ordinario le controversie relative alla regolamentazione dell’affidamento e del mantenimento dei figli delle coppie di fatto, nonché al riconoscimento della prole.
Infatti, l’art. 3, comma 1, della legge 10 dicembre 2012, n. 219 ha novellato il testo dell’art. 38 disp. att. c.c., introducendo, nei commi 2 e 3, alcuni principi di carattere generale che attribuiscono alla competenza del tribunale ordinario tutti i provvedimenti relativi ai figli minori per i quali non sia espressamente stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria; dall’altro lato è stata prevista l’applicazione degli artt. 737 ss. c.p.c., in quanto compatibili, nei procedimenti in materia di affidamento e di mantenimento dei minori.
Dunque, posto che la competenza del Tribunale dei minori è, per espressa previsione di legge, devoluta per i procedimenti contemplati dagli articoli 84, 90, 330, 332, 333, 334, 335 e 371, ultimo comma, del codice civile (che non comprendono quelli attenenti a questioni riguardanti il mantenimento dei figli), e fermo restando che per i procedimenti di cui all’articolo 333 in materia di responsabilità genitoriale resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni nell’ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell’articolo 316 c.c., per procedimenti riguardanti il diritto al mantenimento di figli naturali è competente il Tribunale Ordinario.

 

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