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Prima del 2001 si era sentito poco parlare del concetto di responsabilità da reato degli enti, alla luce della convinzione che i soggetti provvisti di personalità giuridica non potessero essere ritenuti responsabili per il reato commesso da soggetti dipendenti dall’ente medesimo, in virtù di quanto disposto dall’art. 27 Cost., che detta il principio di personalità della responsabilità penale.
Tuttavia, con l’entrata in vigore del D.lgs. n. 231/2001, il Legislatore ha ritenuto di superare i predetti ostacoli: in primo luogo l’emissione di un provvedimento di condanna nei confronti di un ente non lede il principio di personalità della responsabilità penale, in virtù del rapporto di immedesimazione organica che intercorre tra dipendente e ente; in secondo luogo, non verrebbe neppure leso il principio di colpevolezza, dal momento che il soggetto giuridico sarà dichiarato responsabile solamente nell’ipotesi in cui non abbia adottato un modello di organizzazione e gestione, ovvero se quest’ultimo – ove adottato – non sia conforme alla legge.

LA NATURA DELLA RESPONSABILITÀ DA REATO DEGLI ENTI

La natura della responsabilità da reato degli enti è tuttora molto controversa e oggetto di ampio dibattito: la questione è tutt’altro che irrilevante, giacché – a seconda che venga classificata come penale o amministrativa – ne derivano conseguenze sul piano pratico non di poco conto.
Qualora, infatti, dovesse essere ritenuta una responsabilità di tipo penale, questa andrebbe assoggettata ai principi costituzionali vigenti in materia penale, anche alla luce dei c.d. Criteri Engel elaborati dalla Corte EDU.
La normativa dettata dal D.lgs. 231/2001 non fornisce alcuna indicazione utile in merito: l’unico rimando operato da quest’ultima è quello circa l’applicazione delle disposizioni del codice di procedura penale, per quanto compatibili.
Per quanto alcuni sostengano che la responsabilità degli enti abbia carattere amministrativo, in virtù del nomen iuris e di alcune disposizioni che regolano la materia differenti da quelle analoghe in ambito penale (ad esempio il regime prescrizionale), parte autorevole della dottrina sostiene di converso che quella introdotta dal D.lgs. sopracitato sia una responsabilità di carattere sostanzialmente penale.
Negli ultimi tempi, in giurisprudenza si è affacciata l’ipotesi che possa, invece, classificarsi quale c.d. tetrium genus, come confermato dalla relazione al D.Lgs. 231/2001 la quale afferma che la disciplina ivi contenuta coniuga i tratti essenziali del sistema penale e di quello amministrativo nel tentativo di contemperare le ragioni dell’efficacia preventiva con quelle, ancor più ineludibili, della massima garanzia.

 

PRESUPPOSTI DELLA RESPONSABILITÀ DA REATO DEGLI ENTI

Quanto ai presupposti fondanti la dichiarazione di responsabilità degli enti, occorre innanzitutto che questi siano dotati di responsabilità giuridica o siano enti pubblici, agenti tuttavia iure privatorum.
Occorre altresì che il reato sia commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente.
Da ultimo, è necessario che il reato presupposto sia commesso da persone che rivestano funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa, dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonché quelle che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso, ovvero da soggetti sottoposti alla direzione e alla vigilanza di questi ultimi.
Molto si è dibattuto sulla possibilità di applicare la disciplina in parola alle imprese individuali ovvero alle società unipersonali, giacché – ad opinione di alcuni – ciò avrebbe violato il principio del ne bis in idem, in presenza di una sovrapposizione tra soggetto che ha commesso il reato presupposto ed ente medesimo.
Circa le società unipersonali, la giurisprudenza ha chiarito che le norme sulla responsabilità da reato degli enti si applicano anche a queste ultime, in quanto soggetti di diritto distinti dal soggetto che ne detiene le quote (cfr. Cassazione penale , sez. VI , 25/07/2017 , n. 49056).
Quanto invece alle imprese individuali, i Giudici della Suprema Corte di Cassazione hanno affermato che è notorio che molte di queste spesso ricorrono ad una organizzazione interna complessa che prescinde dal sistematico intervento del titolare della impresa per la soluzione di determinate problematiche: ciò comporta che si può involgere la responsabilità di soggetti diversi dall’imprenditore ma che operano nell’interesse della stessa impresa individuale. Ed allora una lettura costituzionalmente orientata dovrebbe indurre a conferire al disposto di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. in parola una portata più ampia, tanto più che, non cogliendosi nel testo alcun cenno riguardante le imprese individuali, la loro mancata indicazione non equivale ad esclusione, ma, semmai ad una implicita inclusione dell’area dei destinatari della norma. Una loro esclusione potrebbe infatti porsi in conflitto con norme costituzionali, oltre che sotto il riferito aspetto della disparità di trattamento, anche in termini di irragionevolezza del sistema (cfr. Cassazione penale sez. III, 15/12/2010).
Inoltre, si badi che la giurisprudenza è assolutamente pacifica nel ritenere che l’autonomia della responsabilità dell’ente rispetto a quella penale della persona fisica che ha commesso il reato-presupposto, prevista dall’ art. 8, d.lg. 8 giugno 2001, n. 231 , deve essere intesa nel senso che, per affermare la responsabilità dell’ente, non è necessario il definitivo e completo accertamento della responsabilità penale individuale, ma è sufficiente un mero accertamento incidentale, purché risultino integrati i presupposti oggettivi e soggettivi di cui agli artt. 5 , 6 , 7 e 8 del medesimo decreto, tale autonomia operando anche nel campo processuale.
Da ultimo, è il caso di precisare che le sanzioni previste, ai sensi di quanto disposto dall’art. 9 D.lgs. 231/2001, sono la sanzione pecuniaria, sanzioni interdittive, la confisca e la pubblicazione della sentenza.

 

COMPATIBILITÀ DEL REATO COMMESSO NELL’INTERESSE DELL’ENTE E FATTISPECIE COLPOSE

Altrettanto discussa è stata la questione riguardante la compatibilità della fattispecie presupposta di reato colposo con il requisito stringente che il fatto sia stato commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente.
Orbene, se si dovesse interpretare il criterio dell’interesse in termini soggetti, ovvero quale finalità che orienta il comportamento dell’autore individuale, esso risulterebbe non compatibile con le ipotesi colpose, giacché non sarebbe possibile prefigurarsi che una condotta posta in essere in violazione di regole cautelari possa essere orientata al soddisfacimento di un interesse dell’ente.
Tuttavia, è stato chiarito che il predetto criterio va interpretato in chiave oggettiva: si pensi ad esempio al caso di morte o lesioni per violazione di regole anti-infortunistiche; in tal ipotesi il Giudice dovrà verificare – per ritenere responsabile l’impresa per la condotta presupposta colposa – che la violazione delle predette cautele causa dell’evento sia stata posta in essere nell’interesse e/o a vantaggio dell’impresa medesima (ad esempio per realizzare un risparmio di spesa).

 

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