REATO DI FALSA TESTIMONIANZA: COS’È?
Colui che è chiamato a testimoniare nell’ambito di un procedimento penale ha l’obbligo di rispondere secondo verità.
Chiunque, in fase di testimonianza, affermi il falso o neghi il vero, ovvero taccia, in tutto o in parte ciò che sa riguardo i fatti oggetto del procedimento, è punito con la reclusione da due a sei anni, a norma dell’art. 372 c.p.
Tale disposizione tutela il corretto funzionamento dell’attività giudiziaria, che ha, in questo caso, l’obiettivo di assicurare la veridicità e la completezza della prova testimoniale, quale mezzo posto a fondamento della decisione del giudice.
Il soggetto passivo del reato è pertanto solo lo Stato inteso quale collettività e non la persona che subisca eventuali danni risarcibili in sede civile (cass. Pen. n. 15200/2011).
ELEMENTO OGGETTIVO E SOGGETTIVO DEL REATO DI FALSA TESTIMONIANZA
Il reato previsto ex art. 372 c.p. è un reato proprio, che può riguardare unicamente chi riveste la qualifica giuridica di testimone in sede civile o penale.
L’elemento oggettivo del reato in esame si considera integrato ogni qualvolta il testimone dichiari il falso, ovvero ometta di dichiarare integralmente ciò che è in sua conoscenza.
È sufficiente, perché il reato sia integrato, che la falsa testimonianza influisca sull’esito del processo, senza che necessariamente il giudizio si concluda con una sentenza erronea (cass. N. 8643/2021).
L’elemento soggettivo consiste nel dolo generico, ossia la consapevolezza e la volontà di affermare il falso, negare il vero, o tacere.
TESTIMONI SOSPETTATI DI FALSITÀ O RETICENZA
Prima che l’esame del testimone abbia inizio, il presidente lo avverte dell’obbligo di dire la verità.
Se, nel corso dell’esame un testimone rende dichiarazioni contraddittorie, incomplete o contrastanti con altre prove già acquisite, il presidente o il giudice glielo fa rilevare, avvertendolo delle conseguenze che possono seguire alla falsa testimonianza.
Le parti non possono ammonire il testimone, onde evitare di influenzare la sincerità della risposta del teste.
Qualora il testimone si rifiuti di deporre, il giudice provvede ad avvertirlo sull’obbligo assunto e, nel caso in cui il testimone persista nel rifiuto, il giudice dispone l’immediata trasmissione degli atti al Pubblico Ministero. In tal caso il Pubblico Ministero, ricevuta copia del verbale dell’udienza, darà inizio alle indagini preliminari per accertare se sussiste la falsa testimonianza nella forma della reticenza.
Quando invece il testimone renda delle dichiarazioni contraddittorie, incomplete o contrastanti con le prove già assunte, il giudice, su richiesta delle parti o di ufficio, dopo aver avvertito il testimone sugli obblighi assunti, qualora il Pubblico Ministero non si attivi immediatamente, potrà attivarsi al termine del dibattimento, trasmettendo i relativi atti.
CAUSE DI ESCLUSIONE DELLA PUNIBILITÀ
Ai sensi dell’art. 376 c.p. non è punibile il reato di falsa testimonianza qualora il testimone ritratti il falso e manifesti il vero, non oltre la chiusura del dibattimento nel caso di procedimento penale, o prima dell’emissione di sentenza nel procedimento civile.
Allo stesso modo, non è punibile chi abbia commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile pericolo. Tuttavia, non è invocabile lo stato di necessità nell’ipotesi in cui l’imputato abbia reso falsa testimonianza in presenza di un pericolo non incombente, ma solo genericamente temuto, di danno grave alla persona (cass. Pen. n. 34595/2009).
È necessario sottolineare che non integra il reato di falsa testimonianza la dichiarazione non veritiera resa da un soggetto che non possa essere sentito come testimone o che abbia la facoltà di astenersi dal testimoniare, ma non ne sia stata avvertita (cass. Pen. n. 7208/2008).
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Foto Agenzia Liverani