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DIRITTO DI OPZIONE

L’art. 2441 cod. civ. rubricato “diritto di opzione” disciplina il diritto degli azionisti, in sede di aumento del capitale sociale, a sottoscrivere un numero di azioni tali da non subire una diluizione della propria partecipazione sociale. La norma prevede, altresì, le ipotesi in cui il diritto in questione possa essere escluso o limitato. Benché i casi siano diversi, il dibattito si è principalmente incentrato sul quinto comma della disposizione, che recita: “Quando l’interesse della società lo esige, il diritto di opzione può essere escluso o limitato con la deliberazione di aumento di capitale”.
Le diverse letture e interpretazioni della norma sono dovute all’ambiguità sia dell’espressione “interesse sociale” sia del verbo che la sorregge “esige”.
Per quanto concerne la prima questione, si ravvisa come in dottrina non vi sia una definizione condivisa e unanime di interesse sociale: già in questo primo momento definitorio il tema risulta intricato. In generale, si scorge una complessiva inadeguatezza dell’espressione, formula inidonea per il compito che dovrebbe svolgere.
Esigere, predicato dell’interesse sociale, allo stesso modo pone altrettante questioni interpretative: si deve stabilire cosa si intenda con questo verbo e se esso abbia un significato equivalente nel linguaggio comune e in quello in giuridico.
Di qui, diviene difficoltoso per gli interpreti comprendere quando la società (rectius: l’assemblea) possa legittimamente limitare o escludere il diritto di opzione degli azionisti.
In relazione a tali criticità, si assiste non solo a un acceso dibattito, sia in giurisprudenza che in dottrina, ma altresì a un’evoluzione interpretativa della norma, seppure non ancora completa. Precisamente, si individuano due filoni di pensiero, dove il primo riconduce l’esclusione del diritto ad un criterio di necessarietà mentre il secondo ad un parametro c.d. di preferibilità o opportunità.

 

NECESSARIETÀ DELL’ESCLUSIONE: INTERPRETAZIONE RIGOROSA

La prima opinione, più diffusa nella letteratura risalente ma che registra ancora oggi adesioni, interpreta l’art. 2441, 5° comma cod. civ. rigorosamente: il diritto di opzione dei soci potrà essere limitato o escluso solo nelle ipotesi in cui ciò rappresenti il mezzo necessario per la realizzazione dell’interesse sociale in questione; occorre, quindi, che l’operazione che si vuole compiere implichi necessariamente l’esclusione del diritto discusso.
Pertanto, questa interpretazione della disposizione attribuisce al verbo esigere, presente nella lettera della norma, il significato di incompatibilità assoluta tra l’interesse sociale e il diritto di opzione: il primo non può essere realizzato senza escludere il secondo. È il nesso di necessarietà tra la decisione presa e l’esclusione dell’opzione a doversi valutare agli effetti della norma in parola: nel senso che tale esclusione può considerarsi legittima solo se indispensabile per la realizzazione di quel piano a cui mira la delibera di aumento di capitale.
In dottrina, vari sono i tentativi posti in essere allo scopo di corroborare suddetta interpretazione, con sfumature tali per cui alcune possono essere definite assolutamente inflessibili, altre risultano – per quanto possibile – più aperte.
Quanto detto risulta corroborato poi da una parte, non molto recente, della giurisprudenza dove si richiama “un’esigenza assoluta ed inderogabile” o in ogni caso “un rapporto di necessità tra fine sociale perseguito ed esclusione del diritto di opzione”.
Seguendo questa tesi, ai fini dell’esclusione del diritto di opzione non sarà sufficiente richiamare genericamente l’art. 2441 quinto comma cod. civ. tramite l’espressione “nell’interesse della società”, perché la disposizione non dovrà essere considerata solo in base a un criterio di mera utilità, bensì ad un rapporto di necessità.
La soluzione accolta da questa parte della dottrina e giurisprudenza comporta il rischio di limitare in maniera notevole l’operato della società costringendola ad una specie di probatio diabolica ogni qual volta si volesse escludere il diritto di opzione, data la difficoltà di dimostrare che effettivamente non esistono mezzi alternativi per il perseguimento dell’interesse sociale. Si spiega allora perché da un lato la giurisprudenza si fosse orientata su una linea più elastica, dall’altro il motivo per cui la dottrina abbia elaborato una soluzione intermedia.

 

OPPORTUNITÀ O PREFERIBILITÀ DELL’ESCLUSIONE: LETTURA PIÙ ELASTICA

Avanza poi una seconda interpretazione dell’art. 2441 5° comma cod. civ., con la quale da un lato si è avuto il superamento del rigore e, dall’altro, si è elaborata una posizione più confacente alla realtà moderna.
Il sacrificio del diritto d’opzione, secondo questa lettura, è ammesso non solo laddove lo stesso sia l’unico inderogabile mezzo per realizzare l’interesse sociale, ma anche quando vi sia un interesse meritevole, che induca a ritenere come la soluzione proposta appaia preferibile e ragionevole. Dunque, il diritto di opzione può essere escluso o limitato anche quando ciò sia più conveniente per la società.
In quest’ottica, è stato ritenuto sufficiente: un interesse tale da fare apparire preferibile e ragionevolmente più conveniente il sacrificio del diritto dei soci; un interesse effettivo e riconoscibile; un interesse qualificato e prevalente, ancorché non l’unico possibile; un interesse serio e consistente; un interesse particolare; un interesse forte.
Il criterio della ragionevole convenienza economica, e quindi, della preferibilità dell’esclusione del diritto di opzione rispetto all’aumento senza esclusione o alla rinuncia ad aumentare il capitale, rappresenta il parametro in base al qual compiere il bilanciamento in questione.
Dunque si impone un nesso di particolare intensità, ma non la reciproca incompatibilità, sicché non è necessario che l’esclusione dell’opzione rappresenti l’unico mezzo in grado di realizzare l’interesse sociale programmato o che essa sia necessaria per la sopravvivenza della società.
L’apertura di questa interpretazione è, ad ogni modo, controbilanciata dalla necessità che le ragioni e motivi che conducono all’esclusione del diritto di opzione siano adeguatamente descritte e riportate nella relazione degli amministratori, come prescritto dal sesto comma dell’art. 2441 cod. civ. Difatti, non sono ritenute sufficienti l’indicazione di ragioni assolutamente generiche.
Il socio ha per questa ragione diritto, e l’amministratore l’obbligo di fornire ogni informazione oggettivamente necessaria per un voto cosciente. Si precisa, infatti, che l’esclusione del diritto di opzione «quando l’interesse della società l’esige» postula un’adeguata allegazione e dimostrazione dell’interesse sociale prevalente e dunque impone un requisito motivazionale-informativo non solo formale o tautologico, ma dotato di sufficiente concretezza.
Quanto illustrato ha trovato in primis un avallo nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale a partire dal leading case del 1970 ha sostenuto questa lettura elastica della norma.
A favore di questa tesi si rinvengono poi sia sentenze di merito che di legittimità non solo risalenti nel tempo, ma altresì più attuali. In particolare, nel febbraio del 2019 la Corte di Cassazione ha confermato, nuovamente, questo indirizzo interpretativo ribadendo come “Affinché́, ai sensi dell’art 2441 c.c. sia consentito sacrificare il diritto di opzione attribuito al socio, non è necessario che tale sacrificio costituisca l’unico inderogabile mezzo per realizzare l’interesse della società̀, ma è sufficiente che, in presenza di un interesse di particolare natura ed intensità̀, nella scelta del modo di realizzare l’aumento di capitale la predetta soluzione appaia preferibile e ragionevolmente più̀ conveniente”.
Anche a seguito degli accadimenti del 2020 e della pandemia da Covid 19 questa interpretazione elastica della norma è stata vista con ulteriore favore. Difatti, è stato letto positivamente la mancanza di un elenco chiuso di fattispecie societarie che possano comportare l’esclusione e la limitazione del diritto di opzione. Nelle sopravvenute maggiori necessità finanziarie aziendali causate – in questo caso – dalla pandemia è facile riconoscere il consistente e prevalente interesse delle società a raccoglie ingenti quantità di nuove risorse finanziare che verosimilmente non si trovano nelle disponibilità dei vecchi soci. Dunque, anche alla luce dei fatti e degli accadimenti del presente, questa seconda interpretazione dell’art. 2441 cod. civ. non può che trovare ulteriore consenso e sostegno.

 

CONCLUSIONI

Da quanto detto, emerge come seppure inizialmente sia stata condivisa un’interpretazione rigorosa del 5° comma dell’art. 2441 cod. civ., questa non abbia in realtà poi trovato un ampio sostegno già a partire degli anni Sessanta del secolo scorso. Ad ogni modo, entrambe le visioni della norma sono passibili di critiche: la tesi più aderente alla lettera e, probabilmente, allo spirito della legge rafforzava la tutela del diritto ma, al tempo stesso, limitava drasticamente la autonomia della società; per contro, le opinioni più attente a salvaguardare quest’ultima sono carenti proprio sul piano della tutela del socio. Si può senz’altro rilevare che ciò sia dovuto al fatto che la norma non offra delle indicazioni univoche.
Ciononostante a seguito anche dell’evoluzione economica, sociale e finanziaria emerge il merito di una lettura elastica che permetta all’assemblea di raggiungere i fini prospettati, i quali in ogni caso devono essere specificamente enunciati nella relazione ex art. 2441 6° comma cod. civ.

 

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Lo studio rimane a disposizione per qualsiasi chiarimento occorresse. Per conoscere i servizi che si offrono in materia si rimanda alla pagina relativa al diritto commerciale e societario.

Foto Agenzia Liverani

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