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EVOLUZIONE DELLA COMUNICAZIONE

Probabilmente trent’anni fa si sarebbe pensato a fantascienza, ma nel 2022 le conversazioni in via telematica (commenti sui social compresi) sono diventate il canale per eccellenza di comunicazione, il quale quindi viene disciplinato dalle normative vigenti che devono necessariamente adeguarsi all’evoluzione sociale.
Trent’anni fa dunque le norme prendevano in considerazione le comunicazioni via telefono, posta e verbali, mezzi tutti che raggiungevano meno destinatari contemporaneamente e soprattutto tali comunicazioni il più delle volte non avvenivano in simultanea.
Oggi l’era digitale permette di comunicare, scambiarsi video o foto in modo estemporaneo e soprattutto è uno strumento alla portata di tutti.
La mutazione del canale di comunicazione – sempre più veloce ed immediata – ha portato ad un’evoluzione altresì sociale per cui ciascuno si sente legittimato a leggere comunicazioni e informazioni di soggetti terzi e a commentarle o diffonderle.
Spesso, i commenti che vengono rilasciati in forma per lo più pubblica non sono neutri ma esprimono giudizi, idee, convinzioni che possono risultare offensive, nell’erronea convinzione che non possano avere ripercussioni e che si sia legittimati a ciò in forza del diritto di esprimere la propria opinione.
Tutto ciò può costare caro!

 

REATI CHE POSSONO CONFIGURARSI QUANDO SI INVIANO COMMENTI SUI SOCIAL

E’ bene sapere invece che la legge preveda diverse fattispecie delittuose – tra le più comuni la diffamazione e il cyberbullismo – le cui conseguenze variano in base all’entità dei danni arrecati alla persona offesa, e, nei casi più gravi è prevista anche la reclusione in carcere.
Non solo!
La percezione attuale è quella di ritenere i commenti sui social non neutri un comportamento naturale e soprattutto non grave e lesivo della persona se posto in essere in via telematica anziché di persona.
Nulla di men vero.
La pubblicazione di messaggi offensivi dell’altrui reputazione sui social network integra la circostanza aggravante del mezzo di pubblicità ex art. 595 comma 3 c.p.
Riportandosi infatti a quanto pronunciato dalla Cassazione (Sez.V n.62/2021), “la pubblicazione di un messaggio di contenuto offensivo su Facebook configura il delitto di diffamazione aggravata ai sensi dell’art.595 comma 3 c.p. in quanto la diffusione del messaggio sul social network, che si connota per la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, è assimilabile al mezzo di pubblicità di cui alla circostanza aggravante prevista dal comma terzo della norma incriminatrice”.
L’equiparazione dei canali social al mezzo di pubblicità deriva dalla circostanza secondo cui entrambi consentono la diffusione dei commenti ad un numero indefinito di utenti in un tempo minimo.
Invero, al riguardo si rammenta che affinché venga integrato il delitto di diffamazione è sufficiente che l’offesa proferita raggiunga almeno due persone, pertanto anche una pubblicazione su un gruppo limitato a pochi user è un atto idoneo ad integrare l’illecito penale.

 

COME INDIVIDUARE IL SOGGETTO AUTORE DEL REATO?

Un profilo che ha interessato il dibattito giurisprudenziale è l’individuazione del soggetto autore del reato.
Infatti, è semplice individuare la vittima – la quale sporgerà querela alle autorità competenti entro 3 mesi dall’evento – di converso è alquanto complicato individuare l’agente, che spesso si nasconde dietro profili falsi.
La giurisprudenza prevalente ha da sempre ritenuto che la sola titolarità dell’account dal quale il commento offensivo è stato scritto non può costituire l’unica prova ai fini dell’attribuibilità del fatto, dal momento che l’account potrebbe essere stato utilizzato da terzi o addirittura clonato.
Gli informatici dunque, al fine di ovviare all’incertezza data dalla sola titolarità dell’account, hanno fatto riferimento al c.d. Indirizzo IP (Internet Protocol Address), un codice numerico assegnato esclusivamente ad un determinato dispositivo elettronico, al momento della connessione da una determinata postazione, in questo modo è possibile individuare il titolare della linea dalla quale è avvenuta la pubblicazione o l’invio del contenuto offensivo rintracciandola.
Lo strumento è stato avallato da copiosa giurisprudenza di legittimità, la quale ha statuito a più riprese come “senza l’accertamento dell’indirizzo IP di provenienza, al quale poter riferire il messaggio offensivo, non può scattare la condanna per il reato di diffamazione aggravata ex art.595 comma 3 c.p., occorrendo invece una puntuale verifica da parte dell’autorità giudiziaria volta ad individuare il predetto indirizzo, per ottenere il massimo grado di certezza possibile”.
Tuttavia, ad oggi sembra che la Sentenza 24212/2021 della Cassazione abbia rovesciato tale orientamento consolidato in materia, in quanto i giudici di legittimità hanno ritenuto che la diffamazione sui social sia configurabile anche su base indiziaria “tenuto conto della convergenza, pluralità e precisione di dati quali il movente, l’argomento del forum sul quale avviene la pubblicazione, il rapporto tra le parti, la provenienza del post dalla bacheca virtuale dell’imputato, con l’utilizzo del suo nickname”.
Si consiglia dunque di prestare attenzione ad ogni commento che viene inviato nell’etere, poiché la giurisprudenza di legittimità è alquanto severa quanto al trattamento sanzionatorio di coloro che compiono atti illeciti mediante l’utilizzo improprio dei social, irrogando pene da 6 mesi a 3 anni di reclusione o la multa non inferiore a € 516,00.

 

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