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Il Regio Decreto 267/1942, meglio conosciuto come Legge Fallimentare, si occupa della disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa.
Il Regio Decreto contiene altresì una serie di disposizioni penali, artt. 216-241, che disciplinano la fattispecie della bancarotta.

BANCAROTTA FRAUDOLENTA

L’art. 216 della Legge Fallimentare punisce con la reclusione da tre a dieci anni il soggetto che, dichiarato fallito, distrae, occulta, dissimula, distrugge o dissipa in tutto o in parte i suoi beni, ovvero, allo scopo di procurare un danno ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti.

È necessario chiarire il significato di tali azioni: distrarre i beni significa escluderli in qualche modo dal proprio patrimonio;  l’occultamento consiste nel tenere nascosti i beni affinché gli organi della procedura fallimentare non ne scoprano l’esistenza; dissipare va inteso nel senso di spreco di tali beni.

Continua l’art. 216 comma 1, n. 2 stabilendo che, allo stesso modo, sono punite le condotte di chi distrugge, sottrae o falsifica i libri o altre scritture contabili, in modo tale da recare a sé o ad altri un ingiusto profitto. Tale modalità di compimento di reato, prende il nome di bancarotta fraudolenta documentale.

In merito a queste ultime condotte, la Corte di Cassazione Penale (sentenza n. 27566/20), ha stabilito che nel reato di bancarotta fraudolenta documentale, l’elemento psicologico deve essere individuato esclusivamente nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà dell’irregolare tenuta delle scritture, con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’imprenditore.

È invece punito con la reclusione da uno a cinque anni il soggetto che, prima o durante la procedura fallimentare, allo scopo di favorire un creditore, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione. Questa condotta prende il nome di bancarotta preferenziale, e richiede che vi sia il dolo specifico.

A seguito della condanna per una di queste condotte, salvo l’applicazione di altre pene accessorie, è prevista l’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, per anni 10.

 

BANCAROTTA SEMPLICE

L’art. 217 della Legge Fallimentare disciplina la fattispecie di reato della bancarotta semplice: è punito con la reclusione da sei mesi a due anni il soggetto che, dichiarato fallito, ad esclusione dei casi precedenti, ha effettuato spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica. Come chiarito dalla Corte di Cassazione penale, con sentenza n. 44248/13, sono da considerarsi spese eccessive le spese personali o per la famiglia che risultano sproporzionate alla capacità economica dell’imprenditore per entità, considerando il periodo a cui risalgono e al numero dei beneficiari. Per famiglia non è da intendersi il solo nucleo coniugi-figli, ma l’insieme dei soggetti legati tra rapporti di parentela e affinità.

Prosegue l’art. 217 punendo colui il quale ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni imprudenti, ha compiuto operazioni per ritardare il fallimento e ha aggravato il proprio dissesto, e, infine, non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fallimentare.

La medesima pena viene inflitta a chi non ha tenuto le scritture contabili durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione del fallimento.

La Corte di Cassazione Penale ha specificato che la bancarotta semplice, ai sensi del comma 2 dell’art. 217, si considera integrata indifferentemente dal dolo o dalla colpa, ravvisabili quando il soggetto agente ometta, con coscienza e volontà o semplicemente per negligenza, di tenere le scritture contabili.

Nel caso di bancarotta semplice, la pena accessoria prevista è l’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a due anni.

 

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