Nell’ordinamento giuridico italiano, i rapporti tra creditore e debitore sono governati da principi volti a garantire un equilibrio tra le posizioni delle parti, evitando abusi e sproporzioni. Uno dei pilastri di questo sistema è il divieto del patto commissorio, una norma imperativa che sancisce la nullità di qualsiasi accordo con cui si stabilisce che, in caso di inadempimento del debitore, la proprietà di un bene dato in garanzia passi automaticamente al creditore.
QUADRO NORMATIVO: ART. 2744 E ART. 1963 DEL CODICE CIVILE
Il divieto del patto commissorio è esplicitamente formulato in due articoli del Codice Civile, che ne delineano l’ambito di applicazione originario. L’articolo 2744 c.c., rubricato “Divieto del patto commissorio”, dispone: E’ nullo il patto col quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore. Il patto è nullo anche se posteriore alla costituzione dell’ipoteca o del pegno. [1] Parallelamente, l’articolo 1963 c.c., in materia di anticresi, stabilisce: E’ nullo qualunque patto, anche posteriore alla conclusione del contratto, con cui si conviene che la proprietà dell’immobile passi al creditore nel caso di mancato pagamento del debito. [2] La ratio di questo divieto è duplice:
- Tutela del debitore: La norma mira a proteggere il debitore, considerato la parte contrattualmente più debole, dalla coercizione del creditore. In una situazione di difficoltà economica, il debitore potrebbe essere indotto ad accettare condizioni inique, come la perdita di un bene di valore notevolmente superiore all’entità del debito, pur di ottenere il credito necessario.
- Tutela della par condicio creditorum: Il divieto assicura il rispetto del principio della parità di trattamento tra i creditori (art. 2741 c.c.). Se il patto commissorio fosse lecito, il creditore garantito potrebbe soddisfare il proprio credito al di fuori delle procedure esecutive concorsuali, acquisendo un bene e sottraendolo alla garanzia patrimoniale generica su cui possono rivalersi tutti gli altri creditori [3][4].
EVOLUZIONE GIURISPRUDENZIALE: DALL’INTERPRETAZIONE FORMALE A QUELLA FUNZIONALE
La giurisprudenza, superando un’interpretazione meramente letterale delle norme, ha progressivamente ampliato la portata del divieto. Oggi è pacifico che la nullità non colpisce solo i patti commissori “puri”, stipulati contestualmente a un’ipoteca o un pegno, ma si estende a qualsiasi negozio o combinazione di negozi giuridici che, sebbene formalmente leciti, siano in realtà utilizzati per eludere la norma imperativa e raggiungere il risultato vietato. La Suprema Corte di Cassazione ha chiarito che l’art. 2744 c.c. esprime un “divieto di risultato” [5][6]. Ciò significa che la nullità colpisce qualsiasi meccanismo negoziale la cui causa concreta sia quella di garanzia e non di scambio, a prescindere dagli strumenti giuridici utilizzati. Come affermato dalla Cassazione: Il divieto del patto commissorio, posto dall’art. 2744 cod. civ., infatti va interpretato non secondo un criterio formalistico e strettamente letterale, ma secondo un criterio ermeneutico e funzionale, finalizzato ad una più efficace tutela del debitore e ad assicurare la “par condicio creditorum” […] il patto commissorio – con la conseguente sanzione di nullità – è ravvisabile anche rispetto a più negozi tra loro collegati, qualora scaturisca un assetto di interessi complessivo tale da far ritenere che il meccanismo negoziale attraverso il quale deve compiersi il trasferimento di un bene del creditore sia effettivamente collegato, piuttosto che alla funzione di scambio, ad uno scopo di garanzia [4]. Questa interpretazione funzionale consente di sanzionare con la nullità per frode alla legge (art. 1344 c.c.) una vasta gamma di operazioni negoziali.
FATTISPECIE ELUSIVE PIÚ COMUNI
Nella prassi commerciale e privata, sono emersi diversi schemi negoziali utilizzati per aggirare il divieto. La giurisprudenza ha imparato a riconoscerli e a sanzionarli.
- Vendita con patto di riscatto o di retrovendita: Si tratta di uno degli schemi più classici. Un debitore vende un proprio bene al creditore, il quale versa una somma di denaro a titolo di “prezzo”. Contestualmente, si pattuisce che il venditore-debitore potrà “riscattare” il bene entro un certo termine, restituendo il prezzo ricevuto (maggiorato di interessi). Se il riscatto non avviene, la proprietà si consolida in capo al compratore-creditore. La giurisprudenza ha costantemente affermato che una tale operazione è nulla se il versamento del denaro non costituisce il corrispettivo di una vendita, ma l’erogazione di un mutuo, e il trasferimento del bene ha la sola funzione di garanzia provvisoria [7][8].
- Contratto preliminare di compravendita: Anche un contratto preliminare può mascherare un patto commissorio. Ciò accade quando la stipula del contratto definitivo è subordinata al mancato pagamento di un debito preesistente o contestuale. In questo caso, la promessa di vendita non ha una funzione di scambio, ma serve a garantire la restituzione di una somma di denaro [4][9].
- Procura a vendere irrevocabile (procura a vendere rem propriam): Un altro schema elusivo consiste nel rilascio, da parte del debitore, di una procura irrevocabile a vendere un proprio immobile (spesso anche a sé stesso) in favore del creditore. Tale procura, collegata a un rapporto di debito, consente al creditore, in caso di inadempimento, di procedere alla vendita del bene e di soddisfarsi sul ricavato, o di acquistare direttamente la proprietà, realizzando una vera e propria “espropriazione privata” in violazione del divieto [3][6].
- Contratto di sale and lease back: Sebbene il contratto di sale and lease back (vendita con locazione finanziaria di ritorno) sia un’operazione finanziaria di per sé lecita, può essere dichiarato nullo se le sue condizioni concrete (come la sproporzione tra il valore del bene e il prezzo pagato, o altre clausole vessatorie) rivelano una causa di garanzia anomala, volta a eludere il divieto di patto commissorio [10][8].
INDICI RIVELATORI DEL PATTO COMMISSORIO
Per smascherare un’operazione elusiva, i giudici si basano su una serie di “indici sintomatici” che, valutati nel loro complesso, possono provare la reale intenzione delle parti:
- La preesistenza o la contestualità di un’obbligazione debitoria tra il venditore e l’acquirente [6][8].
- La sproporzione tra il valore del bene trasferito e il “prezzo” pattuito, che spesso coincide con l’importo del finanziamento [11].
- La permanenza del debitore-venditore nel possesso del bene, che continua a utilizzarlo come se ne fosse ancora proprietario [12].
- La presenza di un patto di riscatto o retrovendita che subordina il ri-trasferimento del bene all’estinzione del debito [7].
- La qualità delle parti e la loro condizione economica, in particolare lo stato di difficoltà del debitore [9].
La prova della simulazione o della frode alla legge può essere fornita con ogni mezzo, incluse le presunzioni semplici, come previsto dall’art. 1417 c.c., trattandosi di far valere l’illiceità del negozio [4][13].
ECCEZIONE LECITA: IL PATTO MARCIANO
Il rigido divieto del patto commissorio trova un’importante e lecita deroga nel cosiddetto patto marciano. Si tratta di una clausola, non tipizzata dal legislatore ma elaborata dalla prassi e avallata dalla giurisprudenza, che consente al creditore di acquisire la proprietà del bene in caso di inadempimento, ma a condizioni che neutralizzano il rischio di abusi. La validità del patto marciano è subordinata alla presenza di specifici requisiti:
- Stima imparziale del bene: Il valore del bene deve essere stimato da un terzo indipendente ed esperto al momento dell’inadempimento. Questo garantisce che la valutazione sia “giusta”, oggettiva e non lasciata all’arbitrio del creditore [14][15].
- Obbligo di restituzione dell’eccedenza: Il creditore ha l’obbligo di versare al debitore la differenza tra il valore stimato del bene e l’ammontare del credito residuo (surplus).
Come sottolineato dalla Cassazione: L’essenziale è che risulti, dalla struttura del patto, che le parti abbiano in anticipo previsto che […] il debitore perderà eventualmente la proprietà del suo bene per un prezzo giusto, determinato al tempo dell’inadempimento, perché il surplus gli sarà senz’altro restituito [14]. La presenza di un patto marciano valido esclude la violazione dell’art. 2744 c.c. perché viene meno la ratio stessa del divieto: il debitore non subisce una lesione patrimoniale e il creditore non ottiene un arricchimento ingiusto [15][7].
DISTINZIONE DALLA DATIO IN SOLUTUM
È fondamentale distinguere il patto commissorio dalla datio in solutum (prestazione in luogo dell’adempimento), disciplinata dall’art. 1197 c.c. Quest’ultima è un accordo lecito con cui il debitore, con il consenso del creditore, si libera da un’obbligazione già scaduta ed esigibile eseguendo una prestazione diversa da quella originariamente dovuta, come il trasferimento di un immobile. La differenza cruciale risiede nella funzione e nel momento dell’accordo:
- Il patto commissorio ha una funzione di garanzia per un’obbligazione non ancora scaduta. Il trasferimento della proprietà è eventuale e condizionato a un futuro inadempimento [16].
- La datio in solutum ha una funzione solutoria per un debito già esistente e scaduto. Il trasferimento è immediato e definitivo, estinguendo l’obbligazione [17][18].
CONSEGUENZE DELLA NULLITÀ DEL PATTO COMMISSORIO
La violazione del divieto di patto commissorio comporta la nullità del patto stesso. Se il patto è inserito in un contratto più complesso (es. una compravendita), la nullità può estendersi all’intero negozio per illiceità della causa in concreto (art. 1344 c.c.) [6][9]. La declaratoria di nullità ha effetto retroattivo (ex tunc): il trasferimento della proprietà si considera come mai avvenuto. Ciò comporta l’obbligo per il creditore di restituire il bene e per il debitore di restituire la somma ricevuta a titolo di finanziamento, spesso qualificata come azione di indebito arricchimento [19][3]. In conclusione, il divieto di patto commissorio rappresenta un presidio irrinunciabile a tutela dell’equilibrio contrattuale e della correttezza nei rapporti di credito. La sua interpretazione estensiva da parte della giurisprudenza dimostra la volontà dell’ordinamento di colpire la sostanza degli accordi illeciti, al di là della loro forma apparente, ammettendo al contempo soluzioni, come il patto marciano, che contemperano l’esigenza di garanzia del creditore con la giusta tutela del debitore.
FONTI CITATE
1. REGIO DECRETO 16 marzo 1942, n. 262 (1942)
2. REGIO DECRETO 16 marzo 1942, n. 262 (1942)
3. Tribunale Ordinario Cosenza, sez. 1, sentenza n. 977/2023 (2023)
4. Cass. Civ., Sez. 2, N. 3385 del 03-02-2023 (2023)
5. Cass. Civ., Sez. 1, N. 27615 del 21-09-2022 (2022)
6. Tribunale Ordinario Roma, sez. 9, sentenza n. 3930/2019 (2019)
7. Cass. Civ., Sez. 2, N. 3532 del 11-02-2025 (2025)
8. Cass. Civ., Sez. 2, N. 18680 del 11-07-2019 (2019)
9. Corte d’Appello Roma, sez. 3, sentenza n. 2986/2022 (2022)
10. Cass. Civ., Sez. 3, N. 35012 del 14-12-2023 (2023)
11. Cass. Civ., Sez. 2, N. 27362 del 08-10-2021 (2021)
12. Cass. Civ., Sez. 2, N. 19694 del 17-06-2022 (2022)
13. Tribunale Ordinario Bergamo, sez. 4, sentenza n. 1370/2018 (2018)
14. Cass. Civ., Sez. 3, N. 844 del 17-01-2020 (2020)
15. Tribunale Di Paola, Sentenza n.119 del 27 Gennaio 2025 (2025)
16. Tribunale Ordinario Potenza, sez. S1, sentenza n. 600/2020 (2020)
17. Tribunale di Lanciano, Sentenza n.219 del 10 giugno 2024 (2024)
18. Tribunale di Napoli Nord, Sentenza n.1485 del 21 marzo 2024 (2024)
19. Cass. Civ., Sez. 2, N. 30045 del 21-11-2024 (2024)
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