Un atto di donazione, definito dall’articolo 769 del Codice Civile come il contratto con cui una parte, per spirito di liberalità, arricchisce l’altra disponendo di un suo diritto o assumendo un’obbligazione [1], può essere oggetto di contestazione degli atti di donazione attraverso diversi strumenti giuridici. La scelta dello strumento più idoneo dipende dalla natura del vizio che inficia l’atto e dalla qualità del soggetto che intende agire.
AZIONE DI NULLITÀ
La nullità rappresenta la forma più grave di invalidità di un negozio giuridico. Una donazione può essere dichiarata nulla per diverse ragioni, tra cui la donazione di beni altrui e i vizi di forma.
DONAZIONE DI BENI ALTRUI
La giurisprudenza, consolidatasi con una pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione, ha stabilito che la donazione di un bene altrui è, di regola, nulla [2]. La ragione non risiede, come in passato si riteneva, in un’analogia con la donazione di beni futuri (vietata dall’art. 771 c.c.), ma in una carenza della causa tipica del contratto di donazione. L’articolo 769 c.c. presuppone che il donante disponga di “un suo diritto” [1]. Quando il bene non appartiene al donante, l’immediato effetto traslativo, che costituisce l’essenza dell’arricchimento per spirito di liberalità, non può realizzarsi. Il Tribunale di Caltanissetta, richiamando tale orientamento, ha chiarito che:
La sanzione di nullità si applica normalmente alla donazione di beni che il donante ritenga, per errore, propri, perché la mancata conoscenza dell’altruità determina l’impossibilità assoluta di realizzazione del programma negoziale, e, quindi, la carenza della causa donativa. La donazione di bene non appartenente al donante e quindi affetta da una causa di nullità autonoma e indipendente rispetto a quella prevista dall’art. 771 cod. civ., ai sensi del combinato disposto dell’art. 769 cod. civ. (il donante deve disporre «di un suo diritto») e degli artt. 1325 e 1418, secondo comma, cod. civ. [2].
Esiste, tuttavia, un’eccezione: la donazione di cosa altrui può essere valida qualora assuma la forma di una donazione obbligatoria. Ciò si verifica quando il donante è consapevole dell’altruità del bene e tale consapevolezza, unitamente all’assunzione dell’obbligo di procurare l’acquisto del bene al donatario, risulta espressamente dall’atto pubblico [2]. In assenza di tale espressa previsione, come nel caso in cui il donante dichiari erroneamente di essere proprietario del bene, la donazione è radicalmente nulla [2]. Una conferma pratica di tale principio si rinviene in una sentenza del Tribunale di Benevento, che ha dichiarato la nullità di una donazione avente ad oggetto un bene altrui [3].
VIZI DI FORMA
La donazione è un atto solenne che richiede, a pena di nullità, la forma dell’atto pubblico e la presenza di due testimoni (art. 782 c.c.). La mancanza di tali requisiti formali determina la nullità dell’atto, come evidenziato dal Tribunale di Torino in un caso in cui una compravendita che dissimulava una donazione, la quale è stata dichiarata nulla proprio per l’assenza dei testimoni [4].
ANNULLAMENTO DELLA DONAZIONE PER INCAPACITÀ
L’articolo 775 del Codice Civile prevede la possibilità di annullare una donazione fatta da persona che, sebbene non interdetta, si provi essere stata incapace di intendere o di volere al momento dell’atto, per qualsiasi causa, anche transitoria [5]. L’azione può essere promossa dal donante stesso, dai suoi eredi o aventi causa. Il termine di prescrizione per questa azione è di cinque anni, decorrenti dal giorno in cui la donazione è stata fatta [5].
REVOCAZIONE DELLA DONAZIONE
La revocazione è un rimedio che consente di rendere inefficace una donazione valida, al verificarsi di determinate circostanze successive all’atto. Le cause principali sono l’ingratitudine del donatario e la sopravvenienza di figli.
REVOCAZIONE PER INGRATITUDINE
L’articolo 801 c.c. elenca i comportamenti del donatario che possono dar luogo a revocazione per ingratitudine, tra cui l’omicidio volontario o il tentato omicidio del donante, la calunnia e l’ingiuria grave. La giurisprudenza ha chiarito che il concetto di “ingiuria grave” ha una sua autonomia rispetto alla fattispecie penale e si sostanzia in un comportamento che manifesta un sentimento di avversione e disistima durevole, idoneo a ledere il patrimonio morale del donante [6]. Non è necessario che la condotta sia penalmente rilevante, né che l’offesa sia percepita da terzi, potendo consistere anche in una serie di atti protratti nel tempo [6]. L’azione di revocazione per ingratitudine deve essere proposta dal donante o dai suoi eredi entro un anno dal giorno in cui il donante è venuto a conoscenza del fatto che consente la revocazione [7].
AZIONE DI RIDUZIONE PER LESIONE DELLA QUOTA LEGITTIMA
I legittimari (coniuge, figli e, in assenza di figli, ascendenti) hanno diritto a una quota del patrimonio del defunto (la “quota di legittima” o “riserva”). Se le disposizioni testamentarie o le donazioni fatte in vita dal de cuius ledono tale quota, i legittimari possono agire in giudizio con l’azione di riduzione per renderle inefficaci nei loro confronti.
PRESUPPOSTI E MODALITÀ
Per determinare se vi sia stata una lesione, si procede alla cosiddetta riunione fittizia: si calcola il valore dei beni lasciati dal defunto al momento della morte (relictum), si detraggono i debiti e si somma il valore dei beni donati in vita (donatum) [8][9]. Sull’asse così formato si calcola la quota di cui il defunto poteva disporre (disponibile) e la quota riservata ai legittimari. La Corte di Cassazione ha precisato che il legittimario che agisce in riduzione deve:
- Denunciare la lesione della propria quota di legittima, anche senza l’uso di formule sacramentali [9].
- Indicare gli estremi essenziali della situazione patrimoniale del de cuius (composizione del relictum e del donatum) per rendere verosimile la lesione, anche sulla base di elementi presuntivi [9].
- Proporre un’espressa istanza di voler conseguire la legittima attraverso la riduzione delle disposizioni lesive [9].
«La ricostruzione dell’intero patrimonio del defunto, mediante la riunione fittizia di ciò che è stato donato in vita a ciò che è rimasto al momento della morte, e l’imputazione alla quota del legittimario di quanto egli ha ricevuto dal defunto, costituiscono i necessari antecedenti dell’azione di riduzione; di conseguenza le richieste volte all’esatta ricostruzione sia del relictum, sia del donatum, mediante l’inserimento di altri beni, non costituiscono domande, ma deduzioni che attengono ai presupposti dell’azione di riduzione e come tali da ritenere implicitamente contenute nella domanda introduttiva» [9].
Le donazioni si riducono partendo dall’ultima e risalendo via via alle anteriori, fino a reintegrare la quota di riserva [9].
AZIONE DI RIDUZIONE E AZIONE DI RESTITUZIONE
È fondamentale distinguere l’azione di riduzione dall’azione di restituzione. La prima è un’azione di impugnativa che rende inefficace la donazione nei confronti del legittimario leso. La seconda è un’azione di condanna, successiva all’accoglimento della prima, con cui il legittimario chiede la materiale restituzione dei beni [8]. Se la riduzione è parziale e ha per oggetto un immobile, si può creare una comunione tra il legittimario e il donatario, la cui divisione è regolata dall’art. 560 c.c. [8].
AZIONE REVOCATORIA ORDINARIA (O PAULIANA)
Questo strumento è posto a tutela dei creditori e non degli eredi. L’azione revocatoria, disciplinata dall’art. 2901 c.c., consente al creditore di far dichiarare inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con cui il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni. Per agire contro una donazione, che è un atto a titolo gratuito, il creditore deve provare:
- L’esistenza di un credito: Anche un credito litigioso o eventuale è sufficiente per legittimare l’azione [10].
- L’ eventus damni: Il pregiudizio per il creditore, che può consistere non solo in una diminuzione quantitativa del patrimonio del debitore, ma anche in una variazione qualitativa che renda più difficile o incerta la soddisfazione del credito [10][11].
- La scientia damni: La consapevolezza, in capo al debitore-donante, del pregiudizio che l’atto di donazione arreca o può arrecare alle ragioni del creditore [10].
Trattandosi di un atto a titolo gratuito, non è necessario provare la consapevolezza del pregiudizio in capo al donatario (participatio fraudis). Lo stato soggettivo del beneficiario della donazione è irrilevante [10][12]. La giurisprudenza ha inoltre evidenziato che il rapporto di parentela stretto (es. coniuge) tra donante e donatario può essere un indice della consapevolezza del terzo, sebbene non sia un presupposto necessario per l’accoglimento della domanda [12].
AZIONE DI SIMULAZIONE
Spesso una donazione viene mascherata da un altro contratto, tipicamente una compravendita, per eludere norme imperative o i diritti dei terzi. In tal caso, si parla di simulazione relativa. Chiunque vi abbia interesse può agire per far accertare la simulazione e far emergere il negozio dissimulato (la donazione). Un aspetto cruciale riguarda il regime probatorio. Mentre le parti del contratto simulato incontrano limiti stringenti (non possono provare la simulazione per testimoni, salvo eccezioni), i terzi possono avvalersi della prova testimoniale e presuntiva senza limiti (art. 1417 c.c.). La giurisprudenza ha costantemente affermato che il legittimario che agisce per l’accertamento della simulazione al fine di tutelare la propria quota di riserva è considerato “terzo” e, pertanto, beneficia del regime probatorio agevolato [13][14].
«Il legittimario è ammesso a provare la simulazione di una vendita fatta del de cuius nella veste di terzo per testimoni e per presunzioni, senza soggiacere ai limiti fissati dagli artt. 2721 e 2729 c.c., a condizione che la simulazione sia fatta valere per una esigenza coordinata con la tutela della quota di riserva tramite la riunione fittizia. In questo senso il legittimario deve essere considerato terzo anche quando l’accertamento della simulazione sia preordinato solamente all’inclusione del bene, oggetto della donazione dissimulata, nella massa di calcolo della legittima, e così a determinare la eventuale riduzione delle porzioni dei coeredi concorrenti nella successione ab intestato in conformità a quanto dispone l’art. 553 c.c.» [14].
Questo vale anche se l’azione di riduzione non viene esercitata contestualmente, essendo sufficiente che l’azione di simulazione sia strumentale alla tutela della legittima [13]. Una volta accertata la simulazione e svelata la donazione, quest’ultima potrà essere a sua volta impugnata (ad esempio, con l’azione di riduzione se lesiva della legittima, o dichiarata nulla per vizi di forma se l’atto di vendita non rispettava i requisiti della donazione) [4].
FONTI CITATE
1. REGIO DECRETO 16 marzo 1942, n. 262 (1942)
2. Tribunale di Caltanissetta, Sentenza n.503 del 4 giugno 2024 (2024)
3. Tribunale di Benevento, Sentenza n.352 del 14 febbraio 2024 (2024)
4. Tribunale Di Torino, Sentenza n.5795 del 19 Novembre 2024 (2024)
5. REGIO DECRETO 16 marzo 1942, n. 262 (1942)
6. Cass. Civ., Sez. 2, N. 7958 del 25-03-2024 (2024)
7. REGIO DECRETO 16 marzo 1942, n. 262 (1942)
8. Tribunale Di Messina, Sentenza n.2450 del 4 Novembre 2024 (2024)
9. Cass. Civ., Sez. 2, N. 17926 del 27-08-2020 (2020)
10. Cass. Civ., Sez. 2, N. 34256 del 07-12-2023 (2023)
11. Cass. Civ., Sez. 3, N. 11487 del 08-04-2022 (2022)
12. Tribunale di Urbino, Sentenza n.45 del 27 marzo 2024 (2024)
13. Cass. Civ., Sez. 2, N. 15043 del 29-05-2024 (2024)
14. Cass. Civ., Sez. 2, N. 12317 del 09-05-2019 (2019)
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