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COS’È LA SERVITÙ PREDIALE?

La servitù prediale è un diritto reale di godimento, disciplinato dagli art. 1027 c.c. e ss.
In particolare, essa consiste nel peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario. L’utilità di cui si parla, ai sensi dell’art. 1028 c.c., deve esplicarsi in favore del fondo del secondo proprietario, non dunque nei confronti della persona, in quanto in qualità di diritto reale deve essere ontologicamente inerente alla res.

 

SERVITÙ C.D. IRREGOLARI – DIBATTITO

Un copioso dibattito si è aperto, sia in giurisprudenza che in dottrina, in riferimento alla natura delle servitù c.d. di parcheggio. Queste si caratterizzano per la facoltà concessa a un soggetto di parcheggiare sul fondo avente diverso proprietario.
Oggetto della discussione è se questo diritto possa essere definito come un diritto reale o un diritto personale di godimento.
La distinzione non ha risvolti soltanto dogmatici, ma altresì pratici: il titolare di un diritto reale ha invero la facoltà di agire a tutela della res nei confronti di tutti i consociati, essendo un diritto assoluto. E a garanzia di ciò intervengono tutele sia possessorie che petitorie.
Mentre, un diritto di credito, quale è per l’appunto un diritto personale di godimento, potrebbe essere azionato solo nei confronti del rispettivo debitore tramite le tutele tipiche del rapporto obbligatorio, tra le quali l’azione volta ad accertarne la responsabilità ex art. 1218 c.c.
A tal proposito, un primo orientamento (tra cui raffigurano Cass. 6 novembre 2014, n. 23708 e, da ultimo, Cass. 20 dicembre 2021, n. 40824) ha definito la servitù di parcheggio come una servitù c.d. irregolare, pertanto di fatto non come una servitù ma come un diritto personale di godimento. Seguendo questa interpretazione, l’eventuale contratto che riconosca o costituisca una servitù di parcheggio sarebbe nullo per impossibilità dell’oggetto, difettando la realità e l’inerenza che deve connotare la servitù stessa.
Mentre un secondo indirizzo, meno condiviso ma sostenuto da recenti pronunce (tra cui Cass. 18 marzo 2019, n. 7561 e Cass. 6 luglio 2017, n. 16698), ha riconosciuto in questo peso imposto sul fondo servente una servitù regolare qualora – in base all’esame del titolo – la facoltà risulti essere attribuita a diretto vantaggio del fondo dominante per una sua migliore utilizzazione. In base a questa lettura, la servitù di parcheggio è – e soprattutto viene tutelato e garantito come – un diritto reale.
È bene sottolineare come, in ogni caso, l’apertura a queste forme di servitù non sarebbe ostacolata dal principio del numero chiuso dei diritti reali, cardine del nostro ordinamento, in quanto diverso e distinto è il principio che qui viene a rilevare: ossia il principio della tipicità di suddetti diritti. Tuttavia, la atipicità in questo caso è espressione della volontà stessa del legislatore, dal momento che è quest’ultimo – all’art. 1028 c.c. – a prevedere quale unico criterio costitutivo della servitù qualunque tipologia di utilità, tra cui anche una maggiore comodità o c.d. amenità.
Quindi seppure è vero che il diritto reale è predeterminato dalla legge, il contenuto non è parimenti predefinito, se non entro certi limiti.
Viene pertanto riconosciuto un margine di autonomia ai privati, in relazione pur sempre all’utilità prevista per il fondo dominante.

 

RIMESSIONE ALLE SEZIONI UNITE

I due orientamenti descritti, entrambi attuali e autorevoli, hanno condotto a una recentissima rimessione alla Sezioni Unite (datata infatti 28 marzo 2023) della questione affinché si componga il contrasto, peraltro già precedentemente segnalato dall’Ufficio del Massimario nel 2019.
Difatti, interpretare il parcheggio effettuato su altro fondo come servitù regolare o irregolare ha ingenti effetti sul piano pratico.
In attesa, si auspica che l’intervento delle Sezioni Unite vada effettivamente a comporre il dibattito, anche al fine di una maggiore tutela dei privati titolari di fondi serventi e dominanti, nonché dei loro aventi causa.

 

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Foto Agenzia Liverani