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L’enorme crisi di liquidità tipica di momenti di instabilità economica può portare, in alcune situazioni, a non riuscire ad adempiere agli oneri fiscali imposti ex lege. Uno dei più ricorrenti concerne l’omesso versamento dell’IVA che, nel caso di superamento della soglia penalmente rilevante, integrerà il reato di cui all’art. 10 ter d.lgs. 74/2000.

IL REATO E LA PENA PER L’OMESSO VERSAMENTO DELL’IVA

La norma citata determina che verrà avviato un procedimento penale nei confronti del soggetto gravato dell’obbligo di versare l’imposta (dal libero professionista al rappresentante legale di una società), qualora l’omesso versamento sia superiore ad euro 250.000 nel periodo d’imposta interessato; al di sotto di questa soglia, non vi sarà alcuna violazione penale bensì unicamente un illecito amministrativo (con le relative sanzioni).

La pena per il reato in analisi è la reclusione da 6 mesi a 2 anni

COME SI VIENE A CONOSCENZA DEL PROCEDIMENTO PENALE

Il soggetto al quale viene contestato l’omesso versamento IVA sarà sottoposto ad indagini a seguito di controlli incrociati con l’Agenzia delle Entrate, e sarà posto a conoscenza del procedimento a proprio carico verosimilmente in sede di convocazione delle forze dell’ordine per la redazione del verbale di identificazione (sede in cui apprenderà i riferimenti del procedimento penale pendente, nominerà un avvocato penalista specializzato ed eleggerà il domicilio per ricevere gli atti giudiziari). In ogni caso, al più tardi, ne sarà reso edotto in sede di notifica di un atto giudiziario, come l’avviso di conclusione indagini ex art. 415-bis c.p.p. redatto dalla Procura della Repubblica o, talvolta, con la notifica del processo verbale di constatazione (cd. “pvc”), documento emesso dalla Guardia di Finanza dopo le apposite verifiche svolte in cui viene dato atto di ogni rilievo svolto, ivi comprese le violazioni di legge riscontrate.

IL PROCESSO E COME DIFENDERSI

Ogni considerazione sulla strategia difensiva attuabile è rimessa alla disamina della vicenda da parte del legale. Trattandosi di reato punibile nel massimo a 2 anni, la Procura emette un decreto di citazione diretta a giudizio che conduce l’imputato direttamente davanti al Tribunale, sede in cui è possibile procedere con la richiesta di riti speciali (cd. “patteggiamento”, a cui si può ricorrere anche durante le indagini preliminari, oppure rito abbreviato da richiedere unicamente in udienza preliminare o in giudizio), con conseguente sconto di pena, oppure con il rito ordinario che prevede un’istruttoria dibattimentale con relativa produzione di documenti, escussione di testimoni (come gli operanti della GdF che hanno svolto le indagini qualora queste presentino profili di illogicità) ed esame dell’imputato. Sussistendone i presupposti è altresì possibile richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova, istituto che consente di non addivenire ad una pronuncia di condanna nel processo e di svolgere un periodo di messa alla prova costituito da lavori eseguiti gratuitamente a favore della collettività, con la conseguenza che, in caso di esito positivo, viene annotata l’estinzione del reato.

UNA POSSIBILE SOLUZIONE DIFENSIVA

Nella prassi le vicende di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto possono presentare le più disparate sfumature. Talvolta può acquisire rilievo la scusante della forza maggiore (art. 45 c.p.) che può, appunto, “scusare” l’omissione del versamento dell’IVA in casi particolari, determinando l’insussistenza dell’elemento psicologico del reato.

La Cassazione tende a considerare irrilevante la crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine entro il quale effettuare il versamento tributario, sulla base dell’assunto secondo cui il soggetto è tenuto ad accantonare l’IVA preventivamente, non potendo per questo venire in rilievo situazioni di difficoltà seppur non prevedibili. Tuttavia, in caso di fatti contingenti e imprevedibili non imputabili all’imprenditore ai quali non abbia potuto tempestivamente far fronte per cause indipendenti dalla sua volontà, la Suprema Corte ha ritenuto applicabile la causa di esclusione della colpevolezza prevista dall’art. 45 c.p.

 

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