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COS’E’ L’APPALTO?

Il contratto di appalto, secondo l’art. 1665 c.c., è un contratto mediante il quale l’appaltatore si obbliga a realizzare un’opera o a fornire un servizio od un’opera al committente (si pensi alla costruzione di un immobile). In particolare, l’appaltatore, disponendo dei mezzi e dell’organizzazione necessaria, dietro corrispettivo, si impegna a raggiungere il risultato richiesto dal committente, assumendosi anche la gestione del rischio dell’opera.

 

IL RECESSO DAL CONTRATTO DI APPALTO

Nonostante l’impegno contrattuale sussistente tra l’appaltatore e il committente, quest’ultimo può decidere di recedere dal contratto di appalto, ossia interrompere il rapporto contrattuale ove venuto meno l’interesse.
La disciplina del recesso dal contratto di appalto è disciplinata dall’art. 1671 c.c., il quale prevede che il committente possa recedere dal contratto anche laddove l’appaltatore abbia già dato esecuzione all’opera o al servizio “purché tenga indenne l’appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno”. Ciò significa che l’appaltatore non deve subire un pregiudizio dalla volontà di recedere del committente, il quale deve comunque corrispondergli l’importo per il lavoro già eseguito e per l’importo dovuto al mancato guadagno che avrebbe avuto se l’opera fosse stata ultimata.

 

LA PROVA DEL MANCATO GUADAGNO

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 15304 del 17 luglio 2020, si è pronunciata su questo argomento, affermando che spetta all’appaltatore dimostrare e quantificare la somma che avrebbe conseguito a titolo di guadagno effettivo dall’esecuzione del contratto.
Il caso di specie è quello di un condominio che, dopo aver commissionato ad un’impresa dei lavori per la manutenzione straordinaria dello stesso, recede dal contratto ad opera già iniziata.
Inizialmente i giudici di merito avevano condannato il condominio committente a risarcire anche il mancato guadagno dell’impresa appaltatrice.

La Suprema Corte, invece, ha travolto l’esito dei giudizi precedenti sulla base del principio dell’onere della prova, secondo il quale colui che vuole far valere un diritto in giudizio deve fornire la prova dei fatti che ne costituiscono il fondamento.

Sulla base di tale brocardo la giurisprudenza ha affermato che è onere dell’appaltatore dimostrare e quantificare l’utile netto che avrebbe conseguito dalla realizzazione dei lavori, ossia la differenza tra il prezzo globale dell’appalto e le spese che l’appaltatore avrebbe dovuto sostenere per la realizzazione dell’opera.

In ogni caso, rimane ferma la possibilità per il committente di provare che l’appaltatore abbia conseguito ulteriori vantaggi o guadagni sostitutivi, nonostante l’interruzione dell’appalto, al fine di paralizzare la domanda avversaria.

 

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Per conoscere i servizi che si offrono, di seguito il link alla pagina relativa alla materia contrattuale.

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