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In tema di garanzia patrimoniale la disposizione da cui partire è l’art. 2740 c.c., comma 1, in base al quale “Il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri”. Da questa norma si desume, pertanto, il cd. principio della garanzia patrimoniale generica.
A codesta la regola vi sono, tuttavia, delle eccezioni. Infatti, l’art. 2740, comma 2, statuisce come: “Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge”. Vi sono pertanto casi in cui il legislatore consente, a determinate condizioni, una limitazione della responsabilità del debitore. Tuttavia, tale effetto può essere unicamente conseguenza di negozi che ex lege permettono di destinare determinati beni a una specifica finalità, tra i quali: il fondo patrimoniale; gli atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche o , infine, i patrimoni destinati a uno specifico scopo in ambito societario.

QUALI SONO GLI STRUMENTI PREVISTI A GARANZIA DEI CREDITORI?

Da quanto detto, emerge pertanto come il creditore possa aggredire tutti i beni presenti e futuri del proprio debitore. Tuttavia, ciò postula in primis che il debitore abbia dei beni sui quali soddisfare le pretese creditorie.
Invero, l’obbligato potrebbe compiere atti o omissioni pregiudizievoli per il creditore, al quale verrebbero pertanto sottratti i beni fonte della garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c.
Per tale ragione il legislatore ha previsto una serie di mezzi volti a salvaguardare suddetta garanzia, i quali sono: l’azione surrogatoria, l’azione revocatoria e il sequestro conservativo.

 

AZIONE SURROGATORIA

Il primo di questi è l’azione surrogatoria, prescritta dall’art. 2900 c.c.
In alcuni casi il problema della tutela del creditore si pone in riferimento a una possibile inerzia del debitore. Invero, l’inattività di quest’ultimo risulta pregiudizievole per le ragioni creditorie quando l’obbligato pur potendo compiere un atto vantaggioso per il proprio patrimonio – e quindi anche di riflesso per il creditore – lo ometta.
A fronte di tale inerzia, il creditore può in via surrogatoria sostituirsi al debitore, ponendo in essere l’atto che il debitore trascura di esercitare.
Questa azione rappresenta dunque un meccanismo particolare che consente di sostituirsi nell’attività giuridica del rispettivo titolare, senza che vi sia una preventiva autorizzazione, comportando anche una deroga al principio del consenso. Questa eccezione è tuttavia giustificata dalla tutela che in questo modo è data al credito.
A compensazione di ciò l’art. 2900, comma 2, c.c. prescrive come in tal caso vi sia un litisconsorzio necessario: se il creditore agisce in giudizio ai sensi dell’art. 2900 c.c., dovrà pertanto citare anche il debitore al quale il creditore vuole surrogarsi. Ciò in quanto l’effetto del giudizio si produrrà, in ogni caso, nella sfera giuridica del debitore inerte.
Da quanto detto, si evince come non si tratti tanto di una autonoma azione, quanto di una legittimazione straordinaria ad agire.
Quale ulteriore limite a questa straordinarietà, l’art. 2900, comma 1, c.c. prescrive che il creditore non possa sostituirsi nel compimento di ogni atto, ma solo nelle ipotesi in cui i diritti e le azioni abbiano contenuto patrimoniale e non si tratti di fattispecie che per loro natura o per disposizione di legge non possono essere esercitate se non dal loro titolare.

 

AZIONE REVOCATORIA

L’azione revocatoria, prescritta dagli artt. 2901 ss. c.c., mira invece a fronteggiare un atto dispositivo del debitore del proprio patrimonio pregiudizievole per le ragioni creditorie.
Il creditore infatti a fronte di un atto dispositivo del proprio debitore, a certe condizioni, può agire affinché ne venga dichiarata l’inefficacia.
Nello specifico, i presupposti richiesti ai fini della revocatoria sono:
un credito pecuniario;
un pregiudizio, che può essere quantitativo o anche solo qualitativo, nei confronti del creditore;
un animus del debitore e, se l’atto è a titolo oneroso, anche del terzo acquirente del debitore. In particolare, il debitore deve essere consapevole del pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie. In riferimento a questo elemento, la giurisprudenza maggioritaria lo ritiene provato in re ipsa nel momento in cui l’atto dispositivo sia intervenuto successivamente al sorgere del credito. Se, invece, l’atto in oggetto è a titolo oneroso, si necessita altresì la prova della consapevolezza del pregiudizio da parte del terzo avente causa dal debitore. Si tratta della prova del dolo del terzo al quale viene equiparata l’ignoranza gravemente colposa.
Provati questi elementi, il creditore potrà ottenere una sentenza di revoca dell’atto. È bene chiarire che quanto revocato rimane valida: questo infatti solamente inefficace nei confronti del creditore procedente. Successivamente quest’ultimo, munito di titolo esecutivo, potrà procedere a esecuzione forzata.
Ad ogni modo, questa forma di tutela non è assoluta, in quanto l’azione si prescrive in 5 anni ai sensi dell’art. 2903 c.c.

 

SEQUESTRO CONSERVATIVO

Infine, l’ultimo mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale per il creditore è previsto dall’art. 2905 c.c.
Questo strumento soccorre nelle ipotesi in cui vi sia pericolo che, nelle more del processo, il debitore disponga di beni del proprio patrimonio, rendendo così più difficoltoso per il creditore un successivo soddisfacimento.
Si potrà, pertanto, procedere tramite il sequestro conservativo. Quest’ultimo provoca un vincolo di indisponibilità sul bene, in modo tale che eventuali atti posti in essere dal debitore aventi ad oggetto i beni protagonisti di sequestro, non produrranno effetti in pregiudizio al creditore sequestrante.

 

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