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Con l’avvento delle nuove tecnologie la disciplina del diritto alla riservatezza ha subito una repentina evoluzione.

DIRITTO ALLA RISERVATEZZA E G.D.P.R.

I principi fondanti il diritto alla riservatezza sono contenuti nel G.D.P.R., il cui articolo 1, circoscrive la finalità di protezione dei dati personali alle persone fisiche. Ebbene, in virtù di tale disposizione, viene sancito il principio per cui qualsiasi forma di trattamento di dati personali è ammessa solo qualora l’interessato sia previamente informato circa modalità e finalità delle operazioni riguardati i suoi dati sensibili e, solo qualora abbia espresso il proprio consenso alla realizzazione delle stesse.
Ciò premesso, preme soffermarsi sull’art.27 della normativa in questione, che specifica che “il presente regolamento non si applica ai dati personali delle persone decedute”.
Ecco che dunque, uno dei problemi che da tempo interessa la giurisprudenza è quello relativo alla c.d. eredità digitale, ponendosi il dubbio di quale sorte riservare all’insieme di dati contenuti all’interno di tablet, smartphone o profili social in caso di decesso del loro titolare, e se gli stessi possano essere considerati beni trasmissibili agli eredi, tenuto conto dell’assenza di disposizioni ad hoc sul punto.

 

CHI PUO ACCEDERE AI DATI DEL DEFUNTO?

In materia sono stati soprattutto i Tribunali di merito di Milano, Bologna e Roma ad esprimersi, essendo stati i Giudici chiamati a stabilire quali persone fossero legittimare a domandare accesso a dati personali e sensibili del defunto. Per far ciò i Giudici hanno trattato l’argomento concentrandosi sulla normativa sulla privacy e – più precisamente – sul dettato normativo che dispone come “I diritti di cui agli articoli da 15 a 22 del Regolamento (GDPR, nds) riferiti ai dati personali concernenti persone decedute possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato, in qualità di suo mandatario, o per ragioni familiari meritevoli di protezione”.

 

VOLONTÀ DEL DEFUNTO

Tuttavia, non sempre pur ricorrendone tutti i presupposti, i soggetti legittimati possono accedere ai dati sensibili e privati del defunto.
Infatti, ai sensi dell’art. 2 terdecies Codice Privacy, l’esercizio di tale diritto non è ammesso qualora, “l’interessato lo ha espressamente vietato con dichiarazione scritta presentata al titolare del trattamento o a quest’ultimo comunicata”. Dunque, affinché possa dirsi esclusa la trasmissibilità dei dati personali del defunto, è necessaria una manifestazione di volontà in tal senso da parte dell’originario titolare, che deve risultare in modo non equivoco e deve essere specifica, libera, nonché informata.
È pacifico dunque come i nostri Tribunali abbiano collocato l’argomento dell’eredità digitale nella disciplina della privacy.
Tale scelta incide chiaramente sulla sorte dei dati personali, nonché sulla loro trasmissibilità, dal momento che se questi venissero considerati quale patrimonio ereditario tout court, all’atto dell’accettazione sarebbero devoluti al chiamato all’eredità senza tenere in considerazione alcuna volontà del titolare del trattamento. Collocando, al contrario, l’eredità digitale nella disciplina della privacy, valutando la trasmissibilità dei dati sensibili è doveroso vagliare l’effettiva volontà del già titolare dei dati che – come sopra detto – in vita avrà espresso o meno il diniego alla trasmissibilità dei dati, nonché vagliare approfonditamente il concreto e legittimo interesse del terzo, desideroso di accedervi.

 

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Lo Studio rimane a disposizione per qualsiasi chiarimento occorresse.

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